Durante il medioevo Firenze ha primeggiato in vari ambiti tra i meno conosciuti ci fu quello carcerario. Tra la fine del XIII secolo e gli inizi del XIV secolo Firenze stava attraversando una grossa trasformazione architettonica: nel 1296 fu posta la prima pietra di Santa Maria del Fiore; nel 1299 iniziò la costruzione del Palazzo dei Priori; ma tra questi edifici di primaria importanza, il 7 novembre 1299, il consiglio dei Cento approvò uno stanziamento per la realizzazione del «novus carcer» del comune di Firenze.
(immagine presa dal sito www.conoscifirenze.it)
L'importanza di questo edificio fu percepita subito dai contemporanei (i documenti disponibili fanno trasparire un certo entusiasmo di fronte alla novità), con molta probabilità fu la prima prigione appositamente costruita in Italia, forse in Europa; data la sua particolarità diventò, ben presto, un punto di riferimento per le prigioni dell'Italia tardo-medievale. Tra le innovazioni quelle legate alla sua struttura (indipendente e isolata per ospitare i prigionieri e il personale addetto), al luogo dove sorge (vicino al centro cittadino, nella parrocchia di San Simone, su un terreno che era appartenuto alla famiglia nobiliare e ghibellina degli Uberti) e alla sua funzione di sostituire tutti gli altri complessi esistenti e concentrare in un unico luogo tutti i detenuti che fino ad allora erano stati sparpagliati.
Il carcere aveva la forma di una grande isola trapezoidale, con i vari spazi racchiusi all’interno di un alto muro perimetrale; un ingresso e un portone di servizio, per il passaggio di un carretto, erano le uniche due aperture che davano su via Ghibellina e durante i cinque secoli di attività l'edificio rimase pressoché immutato.
Dal 1304 il complesso fu volgarmente chiamato LE STINCHE. Il nome, che evoca un sentimento antighibellino, deriva da una razzia compiuta nell'agosto del 1304 dalle forze guelfe nere contro un castello della famiglia Cavalcanti in val di Greve, in cui tutti i soldati furono fatti prigionieri. Quel castello era appunto conosciuto come Le Stinche, cioè “le creste”, alludendo probabilmente alla collocazione della fortezza sopra un dirupo e, in effetti, il carcere poteva ricordare la forma di un castello per le sue alte mura. Il beffardo destino dei soldati ghibellini, condotti dal castello delle Stinche alla prigione che portava lo stesso nome, fu riportato da molti scrittori dell'epoca, primo tra tutti il Villani che riporta “Nel detto anno (1304) e mese d'agosto, essendo la città di Firenze retta per le XII podestadi, ordinarono oste per perseguitare i Bianchi e' Ghibellini, i quali aveano rubellate più fortezze e castella nel contado di Firenze, e intra gli altri era rubellato il castello delle Stinche in Valdigrieve a petizione de' Cavalcanti, al quale andò la detta oste, e puoservi l'assedio, e combatterlo, e per patti s'arrendero pregioni, e 'l castello fu disfatto, e' pregioni ne furono menati in Firenze, e messi nella nuova pregione fatta per lo Comune su 'l terreno degli Uberti di costa a San Simone; e per lo nome di que' pregioni venuti dalle Stinche, che furono i primi che vi furono messi, la detta pregione ebbe nome le Stinche.”[1]
Le novità del carcere non si limitano alla parte architettonica. L'utilizzo di personale salariato, pagato dal comune, fu un'altra significativa innovazione, proveniente dalla positiva esperienza delle Burelle e della Pagliazza, prigioni che solo recentemente erano passate da un affitto ai privati alla pubblica amministrazione. Questi salari erano un tentativo di ridurre la corruzione tra sorveglianti e sorvegliati e segnavano l'impegno del comune a mantenere il personale della prigione. L'utilizzo di persone di “mestiere” porta a pensare a una crescente attenzione verso i bisogni dei prigionieri, forse in parte generata dall'atmosfera meno intima di un'istituzione così grande e centrale.
(immagine presa dal sito www.conoscifirenze.it)
Si deve sapere che appena due decenni dopo la sua fondazione, all'interno delle Stinche erano presenti tre o quattro sovrintendenti, da tre a sei guardie, un ciambellano, uno scrivano e uno o due frati laici penitenti (pinzocheri) che si occupavano dei bisogni dei prigionieri. Oltre a questo personale che si può definire “specializzato”, lavoravano per il carcere alcuni inservienti permanenti, un cappellano dell'adiacente chiesa di San Simone, un acquaiolo, e più tardi anche un medico e un addetto alla rimozione dei corpi dei detenuti deceduti. Tutti questi lavoratori erano sotto il controllo di alcuni ufficiali preposti al ruolo di supervisori, o sindaci, le cui responsabilità furono successivamente assunte da ufficiali dell'esecutore degli Ordinamenti di Giustizia. Attorno al 1355 quattro Bonomini formavano un comitato di supervisori laici che lavorava a stretto contatto con i frati laici per la distribuzione delle limosine. Verso la fine del Trecento a questi si aggiunse un ulteriore supervisore, esperto di legge e salariato.
La veloce evoluzione del complesso fa sì che questa, dopo appena mezzo secolo di attività, sia divisa in sette sezioni: la prigione vecchia, la prigione nuova, un reparto per donne, uno per i Magnati, il malevato superiore, il malevato inferiore e l'infermeria; successivamente fu costruito un complesso separato per i malati mentali.
Le Stinche, oltre che simbolo dell'indipendenza fiorentina e come strumento per la sua macchina giudiziaria, furono una fonte di entrate per il comune e un mezzo per rendere più efficiente la raccolta delle multe e dei debito. Era pratica comune che i prigionieri pagassero per la loro incarcerazione. A Firenze le spese di base erano fissate in cinque soldi a persona, altri costi dipendevano da una serie di fattori: le condizioni individuali, le cause dell'arresto, chi eseguiva materialmente l'arresto (ufficiale del comune o privato), l'ammontare del debito che bisognava risarcire al comune o a un creditore privato. Una volta dentro, i prigionieri potevano migliorare le loro condizioni di vita pagando un'“agevolatura” (tra uno e cinque soldi). L'agevolatura permetteva una maggiore libertà di movimento; ma in realtà era usata, da coloro che se la potevano permettere, per ricreare le gerarchie sociali del mondo esterno, vivendo in un'ala separata della prigione, chiamata “malevato” e a sua volta divisa in stanze superiori e inferiori.
Un'altra particolarità che riguardava il personale e i detenuti era il fatto che godevano di una giurisdizione separata. I prigionieri durante tutta la loro permanenza erano assoggettati a differenti livelli di sanzioni e una volta alla settimana venivano giudicati dall'esecutore degli Ordinamenti di Giustizia; tra i reati più in voga si trovano: il gioco d'azzardo, la blasfemia, il bere, le zuffe e i rapporti sessuali, tutti rigorosamente proibiti alle Stinche. Le pene erano solitamente pecuniarie ed erano piuttosto basse per gli standard “esterni”. Il controllo dell'esecutore non si limitava ai prigionieri ma controllava anche la condotta del personale, multando in caso di fuga di prigionieri, per entrate illecite di prostitute, per aver estorto somme di denaro o per essersi appropriati delle elemosine destinate ai detenuti.
Il ruolo delle Stinche fu fondamentale fino al XIX secolo, quando una nuova idea di decoro urbano iniziò a essere presente all'interno della società, per questo motivo fu deciso di trasferire il carcere nel monastero delle Murate, vicino alle mura cittadine.
L'edificio delle Stinche invece terminerà quando il granduca Leopoldo II decise di vendere il bene a privati nel 1833. L'antico e massiccio edificio fu distrutto e al suo posto furono costruite delle abitazioni private e botteghe e un teatro diurno. Oggi invece l'isolato è dominato dal teatro Verdi e del vecchio “castello” ne rimane traccia solo nella toponomastica: Canto delle Stinche e la via dell’Isola delle Stinche.
[1]Nuova Cronica, di Giovanni Villani, edizione critica a cura di Giovanni Porta, 3 voll, Fondazione Pietro Bembo, Ugo Guanda Editore in Parma, 1991,libro nono, capitolo LXXV.