Nel nord Italia del XVI secolo percorso dalle guerre, gli ordini delle compagnie mercenarie prevedevano che l'armigero non si facesse mai trovare privo di un'arma, per ogni emergenza; i documenti ci riportano che il minimo armamento ammesso fosse il pugnale bolognese. Si tratta di una lama corta per essere una spada ma decisamente più importante di un comune pugnale.
Oltre che come spada corta, veniva usato come arma da mano sinistra accompagnando la spada da lato. La massa prepotente, commensurabile con quella di una spada, e il bilanciamento particolare lo rendono solido nell'arrestare in colpi con sicurezza; la sua lunghezza lo rende in grado di difendere con efficacia tutti i bersagli che l'avversario possa raggiungere.
Lo stile di combattimento con un'arma del genere, sia sola che come secondaria, impone una distanza di sicurezza dall'avversario, per evitare coltellate, prediligendo il gioco largo e l'aggirare il nemico su traiettorie circolari.
L'elsa piccola ed essenziale non è concepita per proteggere la mano in maniera peculiare, rivelandone la sua natura economica e marziale, essendo la lama larga e pesante destinata a garantire l'efficacia difensiva.
L'impugnatura per contro è studiata per una ergonomicità stupefacente, cilindrica dove viene stretta da mignolo e anulare, ovalizzata nel palmo della mano per aderire perfettamente alla presa.
In toto rimane un'arma importante nella cultura schermistica italiana e particolarmente bolognese, per quanto messa in ombra dal brocchiero, e rappresenta un'eccezione peculiare nel panorama delle daghe da mano sinistra, solitamente più corte e leggere.